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Progetti per cercare di salvare gli oceani

I salvatori dei mari

I SALVATORI DEI MARI

Storia

The Ingredient

Ogni minuto, l'equivalente di un camion della spazzatura stracolmo di plastica finisce nell'oceano, sotto forma di nanoparticelle.

Ecco come la plastica poi arriva sui nostri piatti. Questi due progetti potrebbero aiutare a risolvere il problema.

I nostri oceani rischiano di essere soffocati dalla plastica

Sacchetti, bottiglie e imballaggi di plastica, rifiuti industriali di plastica:

secondo alcune stime, circa 6,4 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono nel mare ogni anno; questo causa la morte di 1,1 milioni di uccelli e pesci ogni anno. Questi rifiuti si accumulano sulle spiagge e formano enormi isole galleggianti che vagano per gli oceani; alcuni esperti parlano addirittura dell' "ottavo continente (di plastica)". Solo nell'Oceano Pacifico è stata segnalata una montagna di plastica grande quanto l'Europa centrale. Una volta al largo, la plastica è praticamente indistruttibile. La biodegradazione si misura in decenni; quando le onde e la luce UV iniziano ad agire sulla plastica, questa si decompone trasformandosi essenzialmente in polvere: in microparticelle di plastica. Queste microparticelle sono un pericolo invisibile, poiché la decomposizione dei materiali plastici rilascia nell'acqua sostanze chimiche come bisfenolo A, ftalato e composti stirenici; queste sostanze si accumulano nella catena alimentare e possono modificare la conformazione genetica e ormonale degli animali marini - e naturalmente quella degli esseri umani, che si trovano alla fine della catena alimentare. Da anni gli ecologisti cercano di sensibilizzare su questo problema sempre più pressante, un problema che potrebbe compromettere irreparabilmente il delicato equilibrio ecologico del pianeta.

Ocean Cleanup

Ocean Cleanup

L'idea è quella di raccogliere ed eliminare la plastica aspettando in un punto dell'oceano dove c'è un continuo ricambio d'acqua grazie alle correnti. Come succede ad esempio tra le Hawaii e la California: proprio da qui il 22enne Boyan Slat vuole iniziare a ripulire gli oceani nel 2020 con una specie di gigantesco setaccio. È un'idea relativamente semplice, ma piuttosto complicata all'atto pratico. Slat vuole procedere utilizzando una barriera costituita da due tunnel di circa 50 chilometri di lunghezza uniti a forma di V in grado di galleggiare sulla superficie dell'acqua.

Questi tunnel filtreranno particelle di plastica

fino a una grandezza di 2 mm, che saranno quindi convogliate al centro della V e poi all'interno di un grande contenitore, che verrà svuotato regolarmente. La plastica raccolta verrà venduta a centrali elettriche che la potranno bruciare per generare calore e elettricità. Con questo metodo non si possono intercettare le microparticelle già presenti nell'acqua, ma sarebbe comunque possibile diminuire la velocità con cui si accumulano grazie alla rimozione del materiale plastico in fase di degradazione.

Boyan Slat, l'ideatore del progetto, viene dai Paesi Bassi. Nel 2011, all'età di 17 anni, durante un'escursione subacquea rimase scioccato quando, sott'acqua, vide più plastica che pesci. Da allora, il suo obiettivo è quello di ripulire gli oceani, ed è convinto che il suo progetto sia la risposta: secondo lui basterebbe posizionare nei nostri mari una barriera di 100 km in 24 punti strategici per filtrare la maggior parte della plastica presente negli oceani in tempi relativamente brevi. Ha persino posizionato in mare un prototipo di 100 metri ottenendo risultati promettenti e una replica di due chilometri dovrebbe entrare in funzione al largo della costa giapponese entro la fine dell'anno. Inoltre sono in molti ad aiutare Slat: la sua società impiega 30 persone, oltre ai 120 volontari.

Plastyx: come i batteri possono distruggere la plastica in mare

Plastyx: come i batteri possono distruggere la plastica in mare

"Se il tuo nemico è piccolo, combattilo con qualcosa di piccolo." Questa è la strategia ideata l'anno scorso da un gruppo di otto studenti di Harvard per liberare gli oceani dalle particelle di plastica.

Lavoreranno con un gigantesco esercito di minuscoli aiutanti: batteri. Sotto la guida dei loro professori, gli studenti hanno geneticamente modificato i batteri di Escherichia coli in modo che possano decomporre il PET, un inquinante plastico particolarmente diffuso, riuscendo persino a generare energia durante tale processo. Per assicurarsi che la cosa non sfugga di mano, i batteri sono tenuti in un contenitore dotato di una batteria e di un trasmettitore GPS. I contenitori vengono quindi liberati in modo che galleggino per gli oceani, trasmettendo con la loro posizione informazioni sulla quantità di plastica presente nelle acque in cui si trovano.

Questo progetto è arrivato primo ad un concorso

l'anno scorso e alcuni degli studenti coinvolti stanno ora sviluppando ulteriormente l'iniziativa con il nome di plastyX. "Invece di energia elettrica, ora vogliamo iniziare a produrre delle biomolecole: sono molto più preziose e ci daranno la chiave per la futura autosostenibilità finanziaria del progetto", spiega Daniel Ulm, uno studente di biotecnologia tra i fondatori di plastyx. Così ora i promotori di questi progetti stanno cercando di sviluppare dei batteri in grado di utilizzare la microplastica per produrre proteine speciali e una serie di altre molecole che potrebbero essere utili alle aziende biotecnologiche o ai dipartimenti di ricerca universitari e ospedalieri. In caso di successo, plastyx avrà trasformato un problema in una situazione da cui c'è solo da guadagnare: non solo verrà allentata la pressione sulla biosfera marina, ma lo smaltimento dei detriti di plastica produrrà sostanze utili per la ricerca e per impieghi in campo medico.

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